Seduto a gambe incrociate
in un angolo faccio vagare lo sguardo nella stanza al buio ne accarezzo i
confini e ne immagino l'effetto di giorno con la luce verdastra del sole
annaspo nello sperma delle mie percezioni alterate e una malinconica voglia di fuga si insinua nelle
braccia abbandonate mi lascio inghiottire dalla trama incerta della notte
famelica lasciandomi masticare da luci stroboscopiche corpi sudati e tesi dal
movimento fluido e stupefacente della tossicodipendenza che cola negli
interstizi del corpo.
Entro nel bagno del
locale scivolando come un’ombra. Ho la vista leggermente appannata, le gambe
cedono sotto il peso dell’alcool, lui mi segue eccitato, felice, idiota come un
cane. Ci mette un attimo mi infila le mani sotto il vestito mentre si slaccia i
pantaloni mugolando oscenità che il mio udito non registra
Mi analizzo da fuori e mi
vedo camminare malfermo e malvisto uno scheletro di carne inutile potente e
mancante incapace di musica insoluto struggente nella sua povertà e il tempo
della resilienza è quel ragazzo di cui non ricordo il nome né l'odore che dorme
a pochi metri da me sul materasso basso nella camera sgualcita dal sesso appena
trascorso e dalla paloma negra la droga dell'attimo fermo e ripetuto infinite
volte fino a raggiungere la dimensione del suono e del pianto.
Mi riconosco solo tra le
sue fauci magre sogni irrisolti in un corpo irrisolto che non è il mio è
dell'altra la sorella di pietra incapace di amare senza di me lei non ama e non
si fa amare io amo al punto da morirci dentro un po' ogni volta ad ogni
rabbiosa carezza tra sconosciuti io sbiadisco e mi perdo un pezzetto di senso.
È basso, tarchiato con il
gel nei capelli e un pene corto largo e peloso che non mi fa né caldo né
freddo. Il poveretto si agita, sbuffa grugnisce e dopo poche spinte senza
respiro finalmente mi viene tra le cosce.
Fa caldo, un caldo
insopportabile ed appiccicoso, mi tiro su le mutande, sistemo il vestito esco
dal gabinetto, lui sempre dietro mi mette una mano tozza sulla spalla nuda
trasalisco mi giro di scatto e gli dico di andare a farsi fottere dal
buttafuori negro all’ingresso.
La mappa degli organi si
sbriciola sotto le mani inesperte degli altri che mi attraversano e mi rendono
infelice con la loro necessità inferma di amore livido squallido veloce mentre
io sogno il guscio protetto della tenerezza la radura incompleta della scoperta
per essere sconfitto ogni volta in questa ricerca ipocrita da uomini e donne
più disperati e soli di me il nostro è l'amore triste degli illusi e dei
superficiali abbiamo tutti paura di essere all'ultimo stadio della perdita.
Mi guarda sorpreso
come se non se lo aspettasse, gli occhi bovini mi fissano perplessi e vacui, me
lo scrollo di dosso con un gesto della mano. Esce dal bagno lasciandosi alle
spalle una scia di insulti, chiudo gli occhi le tempie pulsano, ho un ronzio
costante nelle orecchie vorrei vomitare ma non ci riesco. Recupero la giacca e
mi spingo fuori per strada, respiro la notte umida, bagnata e densa.
Eppure voliamo sulle
città come angeli trasparenti incuranti e scaltri precipitiamo giù Icari di
cera nelle vite degli altri mandandole in frantumi fracassando cuori annodando
arterie ogni pezzo di vetro un respiro una scheggia una lingua un luogo un
desiderio un errore.
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