...Il corridoio di gomma,
tutto in questo posto, il pavimento, le pareti le maniglie delle porte è di
gomma azzurra, come l'interno di una nave. Si, sembra di camminare in una nave
da crociera a basso costo, forse un traghetto, più che una nave, di quelli
pieni di famiglie con i panini avvolti nella carta stagnola che una volta
scartati liberano un forte odore di frittata alle cipolle, producendo un
immediato e invidioso aumento della salivazione della gente intorno,
tristemente avvinghiata a piadine di plastica comprate sul posto, pagate come
un chilo di filetto e con un vago retrogusto di Malox.
Tutti ugualmente
tormentati dalla scomodità delle poltroncine ruvide e dal gelo dell'aria
condizionata.
Le strategie di
sopravvivenza dei passeggeri, non importa se di mare, di terra o di aria
meriterebbero una narrativa propria, un decalogo scrupoloso sulle capacità di
adattamento delle persone durante un viaggio, uno spostamento dal punto A al
punto B desiderando in ultimo di raggiungere il luogo C.
C'è chi si muove solo in gruppo, in modo da
impiegare il tempo nella cura o nel disturbo del proprio gregge, familiare o
amicale che sia a seconda delle attitudini personali di ognuno. Al contrario c'è chi si muove preferibilmente
in solitaria o al massimo in nuclei da due, questa tipologia trasversale a
sesso ed età, è facilmente riconoscibile, i passeggeri in solitaria tendono a
sostare in porzioni di spazio relativo, spesso marginali come se lo stare da
soli diminuisse in automatico la capacità e l'autorizzazione non scritta di
occupare lo scompartimento di un treno o il ponte di una nave. Io mi sento così
in questo posto dalle luci azzurrine, una passeggera di quelle che viaggiano da
sole anche se accompagnate, di quelle che finiscono inevitabilmente a fare la
fila all'ufficio oggetti smarriti.
Ci sono giorni in cui lo
smarrimento mi sembra essere una costante, fisso lo specchio e mi perdo nella
curva violacea delle occhiaie, mi sembra di aver cambiato forma, non
interamente solo di alcune parti, non riconosco più la sagoma della schiena o
la conformazione del cranio, il colore degli occhi a volte. Per alcune frazioni
di secondo non riconosco più la mia faccia, la tocco e mi sembra di toccare
quella di qualcun altro. Presa da un dolciastro senso di panico faccio correre
i polpastrelli sugli zigomi pronunciati, delineo con la punta delle dita la
linea scura della bocca risalgo frettolosamente sul naso un po' schiacciato
fino alle setole delle sopracciglia e finalmente trovo conforto e tregua
imbattendomi nella cicatrice allungata sulla tempia sinistra.
Quella striscia obliqua,
liscia e lucida che non si abbronza mai e che fa tornare il respiro ad essere
regolare convincendomi che quella riflessa sono io, questa sotto le mie dita è
proprio la mia faccia e che quel non riconoscermi evidentemente è stato un
difetto dello specchio.
Questo, non mi mette
esattamente paura o angoscia è più una sensazione diffusa di malessere, un
gomitolo di ansia morbida tra il bagno e la cucina, che mi accompagna nei gesti
più banali e ripetitivi come lavarmi, vestirmi, preparare meticolosamente la
macchinetta del caffè, facendo attenzione che la piccola piramide di polvere
scura sia ben centrata e lontana dai bordi.
Non mi sento esattamente
estranea, resto familiare a me stessa anche se non completamente coincidente.
Un’ospite goffa, un’occupante abusiva di un corpo, di un tempo e di uno spazio...
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